16 Novembre 2017

News Precariato

normativa

Reiterazione dei contratti oltre i 36 mesi e risarcimento del danno

La materia del contratto a termine ha trovato regolamentazione a livello comunitario nella Direttiva 1999/70 UE, la quale aveva recepito l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato del 18 marzo 1999 concluso dalle organizzazioni intercategoriali a carattere generale e aveva come termine ultimo di attuazione il 10 luglio 2001 ed è stata recepita dall’Italia con il D.Lgs n. 368/2001 del 6 settembre 2001.

Tale direttiva, come ampiamente e ripetutamente chiarito dalla Corte di Giustizia UE, trova applicazione nel settore del pubblico impiego e, quindi, anche nei rapporti di lavoro a termine conclusi tra le pubbliche amministrazioni e dei propri dipendenti (Sentenza del 4 luglio 2006, Adeneler, C-212/04, EU:C:2006:443; Sentenza del 7 settembre 2006, Marrosu, C-53/04, EU:C:2006:517).

Inoltre, dall’ambito di operatività della Direttiva in esame, come recentemente affermato sempre dalla Corte di Giustizia, non sfugge il settore della scuola pubblica e, in particolare, il sistema di reclutamento degli insegnanti a mezzo dei contratti di lavoro a tempo determinato, il quale deve essere soggetto alle regole poste dal sopra menzionato accordo quadro (Sentenza del 26 novembre 2014, Mascolo ed altri, C-22/13, C-61/13, C-62/13, C-63/13, C-418/13, EU:C:2014:2401).

La clausola 5 dell’accordo quadro è stata interpretata dalla Corte di Giustizia UE, nel senso che “osta a una normativa nazionale, […], che autorizzi, in attesa dell’espletamento delle procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di dette procedure concorsuali ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo>> (<<Risulta, infatti, che tale normativa, fatte salve le necessarie verifiche da parte dei giudici del rinvio, da un lato, non consente di definire criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo di tali contratti risponda effettivamente ad un’esigenza reale, sia idoneo a conseguire l’obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine, e, dall’altro, non prevede nessun’altra misura diretta a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo ad una successione di contratti di lavoro a tempo determinato>>)”.

Interpretazione offerta dalla Corte di giustizia in relazione al seguente quesito : “se la clausola 5, punto 1, dell’accordo quadro debba essere interpretata nel senso che osta a una normativa nazionale, quale quella di cui ai procedimenti principali, che autorizzi, in attesa dell’espletamento di procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti nonché di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l’espletamento di tali concorsi ed escludendo qualsiasi possibilità, per tali docenti e detto personale, di ottenere il risarcimento del danno eventualmente subito a causa di un siffatto rinnovo”.

La Corte di giustizia, con la pronuncia sopra richiamata, ha in particolare avuto modo di precisare:

a)       come tra gli obiettivi della normativa comunitaria e, quindi, dell’accordo quadro citato, vi sia quello di creare un quadro normativo per la prevenzione degli abusi derivanti dall’utilizzo di una successione di contratti o rapporti di lavoro a tempo determinato e ciò anche con riferimento – come già sopra evidenziato – al settore del pubblico impiego e, all’interno di questo, all’ambito della pubblica istruzione;

b)      come gli Stati membri della U.E. dispongano di un’ampia discrezionalità circa le scelte da adottare allo scopo di perseguire la suddetta finalità dal momento che essi hanno la scelta di far ricorso a una o a più misure enunciate al punto 1, lettere da a) a c), di detta clausola [la clausola n. 5 dell’accordo quadro, n.d.r.], oppure a norme giuridiche equivalenti già esistenti, e ciò tenendo conto, nel contempo, delle esigenze di settori e/o di categorie specifiche di lavoratori;

c)       come, quando si è verificato un ricorso abusivo a una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, si deve poter applicare una misura che presenti garanzie effettive ed equivalenti di tutela dei lavoratori al fine di sanzionare debitamente tale abuso e cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell’Unione;

d)      come la normativa Italiana sul reclutamento del personale della scuola non paia prevedere alcuna delle misure contemplate dalla direttiva comunitaria (la sopra menzionata clausola 5) e volte ad evitare la reiterazione abusiva dei contratti a termine. Infatti, L’Italia ha giustificato la reiterazione con una «ragione obiettiva» ai sensi della clausola 5, punto 1, lettera a);

e)       come la nozione di «ragioni obiettive» […] deve essere intesa nel senso che si riferisce a circostanze precise e concrete che contraddistinguono una determinata attività e, pertanto, tali da giustificare, in tale peculiare contesto, l’utilizzo di una successione di contratti di lavoro a tempo determinato;

f)        come una normativa nazionale che consenta il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per sostituire, da un lato, personale delle scuole statali in attesa dell’esito di procedure concorsuali per l’assunzione di personale di ruolo nonché, dall’altro, personale di tali scuole che si trova momentaneamente nell’impossibilità di svolgere le sue funzioni non è di per sé contraria all’accordo quadro e che, proprio perché l’insegnamento è correlato a un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione della Repubblica italiana che impone a tale Stato l’obbligo di organizzare il servizio scolastico in modo da garantire un adeguamento costante tra il numero di docenti e il numero di scolari;

g)       come irrilevante sia il fatto che il ricorso alle supplenze sia giustificato da generiche ragioni obiettive normativamente indicate essendo in ogni caso indispensabile, valutando il caso concreto, che il ricorso allo strumento del lavoro a termine sia funzionale a far fronte ad effettive esigenze temporanee;

Alla luce di quanto sopra e, quindi, dell’accordo quadro recepito dalla direttiva 1999/70/UE e della interpretazione, con particolare riferimento alla clausola n. n. 5, datane dalla Corte di Giustizia, ben possibile è affermare – come anche rilevato dalla Corte Costituzionale con la recente sentenza n. 187/2016 – che il sistema Italiano di reclutamento del personale scolastico, così come disciplinato fino all’emanazione della Legge 107/2015, non soddisfa i requisiti richiesti dalla direttiva comunitaria non contenendo, con riferimento alla regolamentazione delle supplenze, alcuna delle summenzionate previsioni volte a limitare il ricorso ai contratti a termine e volta a sanzionare gli eventuali abusi (previsioni invece introdotte con la sopra richiamata Legge 107/2015) (Corte App. Firenze 14/4/2016 n. 1035/2015 R.G.).

Non soddisfacendo i requisiti richiesti dalla direttiva comunitaria, il sistema Italiano di reclutamento del personale scolastico osta alla detta direttiva e, nei termini indicati della Corte di Giustizia UE, è caratterizzato da un illegittimo abuso dei contratti a termine.

Secondo la giurisprudenza comunitaria e costituzionale, l’art. 36 D.Lgs. n. 165/2001 e l’art. 4 comma 14 bis Legge n. 124/1999 espressamente escludono, con riferimento al pubblico impiego e, quindi, anche con riferimento all’ambito della pubblica istruzione, la convertibilità del contratto a termine in contratto di lavoro a tempo indeterminato.

La compatibilità, quindi, tra ordinamento interno ed ordinamento sovrannazionale/comunitario può dirsi sussistente, allorquando sia assicurata dall’ordinamento italiano altra misura effettiva, proporzionata, dissuasiva ed equivalente a quelle previste per situazioni analoghe.

Una norma di diritto interno che vieti, per il solo ambito del pubblico impiego, la conversione del rapporto di lavoro, deve quindi essere contemperata dalla previsione di una sanzione dotata di efficacia, non solo ristoratrice o ripristinatoria, ma anche dissuasiva e che possa offrire al pubblico dipendente assunto a mezzo di un illegittimo contratto a termine una tutela paragonabile a quella assicurata al lavoratore “privato” ed inoltre che sia tale da non ostacolare l’esercizio dei diritti attribuiti dall’ordinamento giuridico dell’Unione.

Una simile norma, tale da assicurare un adeguato ristoro del danno subito e contemporaneamente tale da non ostacolare l’esercizio del diritto, nell’Ordinamento interno esiste ed è individuabile nell’art. 36, D.Lgs. 165/2001; cui è quindi possibile fare riferimento non tanto per l’affermazione della risarcibilità del danno quanto, piuttosto, per la parametrazione dello stesso.

E, infatti, la CORTE DI CASSAZIONE A SEZIONI UNITE ha evidenziato come nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dal D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 36, comma 5, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione con esonero dall’onere probatorio nella misura e nei limiti di cui alla L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8 (Cass. Civ. Sez. Un. 5072/2016).

 

Quindi, a parere dello scrivente, in caso di conclamato abuso dei contratti a termine, non vi è e non vi può essere alcuna alternatività tra conversione del rapporto e risarcimento del danno.

 

Il risarcimento deve essere riconosciuto nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8.

 

Ora la questione è stata rimessa nuovamente alla Corte di Giustizia UE ad opera di una recente ordinanza della Corte di Appello di Trento del 18.07.2017 che vuole appurare se le norme applicate (commi 95, 131 e 132 dell’art. 1 della legge 107/2015) siano effettivamente “misure con carattere proporzionato, sufficientemente energico e dissuasivo” per garantire la piena efficacia delle norme europee contro l’abusiva reiterazione dei contratti a termine.

 

 

Avv. Francesco Leone .